martedì 1 aprile 2008

Press: Realtà e simbolo. Voci dal Medioevo


La Commedia di Dante: amore acceso di virtù

Dante si caratterizza da subito come un poeta d’amore (scrisse infatti: “tutti li miei pensieri parlan d’amore”) ma da una visione cortese dell’amore come “dolce possessione” sa elevarsi ad una visione di ben altra complessità, che include la considerazione della benevolenza e l’illuminazione di un amore caritatevole che è il vero legame che ci affratella.

La Commedia diventa uno strumento splendido per educarci ad amare, a partire dalla consapevolezza che l’uomo è spirito e materia, che Dio amando l’uomo, ama entrambe queste nostre componenti e che tale unione sarà riconfermata dalla risurrezione dei corpi.

Il Paradiso, raffigurato nell’immagine della mistica rosa, si risolve in un infinito abbraccio d’amore e l’amore è il respiro stesso dell’universo, con il quale anche il pellegrino Dante, scrivano di Dio, si sentirà, giunto alla fine del suo viaggio, in totale armonia.

Questo è il tema dell’incontro conclusivo del percorso autunnale del ciclo degli Incontri al Museo, il secondo su tematiche dantesche, che ci permetterà di riflettere su quest’itinerario dall’amore-eros all’amore-agape. Per tutti coloro che volessero prendere parte all’incontro a cura del prof Genoni l’appuntamento è per venerdì 23 novembre presso la sede del Museo Carla Musazzi alle ore 20.45. 

La Chiesa e la pietra.L'edificio sacro in età romanica.

Si era già all’anno terzo dopo il mille quando nel mondo intero, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si ebbe un rinnovamento delle chiese basilicali: sebbene molte fossero ben sistemate e non avessero bisogno, tuttavia ogni popolo della cristianità faceva a gara con gli altri per averne una più bella. Pareva che la terra stessa, come scrollandosi e liberandosi della vecchiaia, si rivestisse tutta di un candido manto di chiese.

In quel tempo i fedeli sostituirono con edifici migliori quasi tutte le chiese delle sedi episcopali, tutti i monasteri dedicati ai vari santi e anche i più piccoli oratori di campagna.

   (Raul Glaber, Storie)

La Chiesa e l'oro. L'edificio sacro in età Bizantina

"Fusione di culture, linguaggi, popoli, da sempre città d’arte e cultura, Ravenna fu tre volte capitale: dell’impero romano d’occidente, di Teodorico re dei Goti, dell’impero di Bisanzio in Europa. La magnificenza di quel periodo ha lasciato una grande eredità di monumenti di incalcolabile valore artistico e religioso. Aut lux hic nata est aut capta hic libera regnat (O la luce è nata qui o, qui imprigionata, libera regna) recita un esametro latino sulle pareti della Cappella Arcivescovile a testimonianza dell’incredibile altezza raggiunta nell’arte del mosaico che, sebbene non fosse nata a Ravenna, trovò qui la sua più ampia espressione. E certamente, nel respirare la tenue e mistica atmosfera della città, si può affermare che l’iconologia cristiana, la sua evoluzione monumentale ed estetica, la celebrazione architettonica ed artistica della divinità abbiano trovato qui, in una fusione di simbolismo e realismo, di influenze greco-romane e bizantine, forse l’esempio più fulgido dell’antichità.”


Realtà e Simbolo. Voci dal Medioevo

Nuova luce sui secoli bui. Quelli che un tempo erano considerati secoli oscuri e poco rilevanti nella storia europea e mondiale ora vengono riabilitati come culla delle nostre identità nazionali, tempi di fiorenti centri di cultura e sublimi manifestazioni artistiche.

Ogni manifestazione artistica però si presentava all’interpretazione umana su più livelli sovrapposti: alla immediata evidenza delle opere faceva da controparte una forte connessione verso una realtà che andava oltre a quella mondana. Le opere stesse erano manifestazione di questo legame, simbolo, tra le due dimensioni entro le quali l’uomo trovava la sua posizione nel mondo.

La “Fondazione Carla Musazzi” dedica il ciclo autunnale di incontri a questa realtà artistica del Medioevo come collegamento tra reale e simbolico.

Il percorso si articolerà dalle manifestazioni artistiche bizantine e romaniche fino al genio dantesco che con la sua Commedia costituisce l’apice dell’espressione letteraria medioevale. Un itinerario ideale attraverso due modalità espressive differenti che però mutuano una grande base comune.

Immagini di Italia nei viaggiatori del Grand Tour

Non si viaggiava per solo diletto nel Settecento: molti continuavano a viaggiare come sempre accade in cerca di migliori sistemazioni, altri viaggiavano con spirito da avventurieri. Si viaggiava per spionaggio industriale, acquisire documentazione tecnologica e per intrecciare segreti rapporti di alleanze e amicizie. Ma i viaggiatori del Grand Tour erano sospinti dal desiderio di conoscere paesi di lingue e culture straniere elementi necessari per quei membri dell’aristocrazia che dovevano apprendere i rudimenti essenziali dell’arte diplomatica.

Il bisogno di evasione si mescolava al gusto per l’arte e la cultura, allo spirito di osservazione e l’Italia diventò meta privilegiata per il fascino del suo patrimonio artistico classico e rinascimentale, per la pittoresca bellezza dei paesaggi e la felicità del clima.

            Il Grand Finale del ciclo primaverile di incontri al museo organizzato dalla Fondazione Carla Musazzi non poteva che riguardare il Grand Tour, viaggio fisico, spirituale e culturale attraverso la nostra penisola di cui moltissimi intellettuali subirono l’incanto.

            Il professor Walter Genoni ci accompagnerà in questo itinerario nel suo incontro dal titolo “Immagini di Italia nei viaggiatori del Grand Tour” venerdì 11 maggio alle ore 20.45 presso la sala conferenze del Museo Carla Musazzi di via Randaccio. Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare all’evento.


Echi dell giungla, l'immaginario africanista del jazz


“Quando i neri vennero in questo paese erano africani stranieri”, ci ha detto nel suo Il popolo del Blues lo scrittore afroamericano Amiri Baraka. Questa asserzione focalizza immediatamente i termini della questione: l’arte neroamericana, e quindi anche la musica, nasce da una diaspora, e dell’Africa conserva il ricordo e l’impronta. Ma non è solo la dimensione della presenza “inconscia” di reperti africani nella musica a destare interesse (e negli ultimi decenni gli studi musicologici in materia hanno prodotto risultati notevoli); vi è anche un altro tema che si impone con evidenza nella letteratura musicale afroamericana, vale a dire il consapevole richiamo alla terra d’origine da parte di tanti musicisti, e in campo jazzistico almeno da quel Zulus Ball inciso nel 1923 dalla Creole Jazz Band di King Oliver .

La serata sarà dedicata a indagare il modo in cui è nato e si è modificato un cangiante immaginario africanista nella storia del jazz, dall’accettazione di stereotipi razzisti e coloniali fino alla ricerca di una africanità liberata e consapevole nella produzione del secondo dopoguerra, in parallelo con la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti e la nascita dei movimenti di liberazione in Africa.